Ma dove siamo andati a parare?

A questo punto, chi non ha ancora perso la pazienza potrebbe chiedere dove stiamo andando a parare, ammesso che io ne abbia una qualche idea. Proviamo a riassumere:
  1. Gli ologrammi hanno certe proprietà, tra cui, importanti, il fatto che le informazioni in essi codificate non sono in relazione isomorfa (sto ancora aspettando che qualcuno preparato in matematica mi corregga su questo punto, ma facciamo finta di poter usare questo termine nel senso un po’ generico che intendo) con l’oggetto "reale" che rappresentano e che esse sono il frutto dell’elaborazione di un oggetto dimensionalmente superiore a quello dell’immagine.
  2. Il Principio Olografico suggerisce che, almeno in certi contesti, la riduzione olografica delle dimensioni non comporti necessariamente una perdita di informazione.
  3. In particolare, il Principio Olografico applicato all’entropia dei buchi neri dimostra che è possibile rappresentare in modo olografico su una superficie a N-1 dimensioni un’informazione equivalente a quella contenuta in una struttura dinamica N-dimensionale inaccessibile all’osservazione.
  4. L’esame del funzionamento del cervello ha suggerito a diversi osservatori (forse un po’ eterodossi, diciamo così) l’idea che esso ospiti contemporaneamente un sistema corticale sensoriale-attuativo conforme alla struttura percettiva-propriopercettiva e un sistema "profondo" di codifica e memorizzazione delle informazioni che avrebbe proprietà qualitativamente analoghe a quelle di un ologramma.

Orbene, ecco dove stiamo andando a parare: in virtù delle analogie con la Fisica che ho proposto (e quindi senza alcuna pretesa di rigore logico), trovo stimolante la congettura che la relazione oggetto-ologramma del punto 4 possa essere invertita. Ossia che il nostro cervello possa ospitare contemporaneamente:

  • Processi mentali (perdonate questo termine generico) "superficiali" nel senso di osservabili, che hanno una corrispondenza diretta e "isomorfa" con il mondo esterno inteso in senso ampio (percezioni, propriocezioni, azioni, atti linguistici, ecc. ed estensivamente tutti i pensieri potenzialmente esprimibili con tali atti)
  • Processi mentali "profondi", e come tali inaccessibili anche all’introspezione, non esprimibili con atti linguistici e anzi non isomorfi ad alcuna rappresentazione cognitiva esplicita.

In questa classificazione (che non pretende, almeno in prima istanza, di essere esaustiva di tutti i processi mentali) ho effettuato un passo importante: ho incluso tra i processi superficiali:

  • quelli connessi alle nostre facoltà cognitive, intendendo con questo, tra l’altro, che i processi cognitivi sono indissolubilmente dipendenti dall’esperienza del mondo esterno e di noi stessi intesi come fonte di sensazioni ed emozioni esplicite, oltre che delle "altre menti" che pure sono parte del mondo esterno
  • quelli almeno potenzialmente correlabili a un’espressione linguistica, in quanto questa potenzialità li rende comunicabili e pertanto è sufficiente ad attribuire loro una relazione isomorfa con un atto osservabile (reale o potenziale non è qui rilevante)

In questo approccio, che ammetto non essere assolutamente rigoroso e va semmai inteso come puramente esplorativo, trovo interessante pensare appunto di capovolgere l’idea del cervello olografico, e considerare i processi profondi come l’oggetto, iperdimensionale e inaccessibile, di cui ci è concesso osservare il "semplice" ologramma, ossia i processi superficiali che, con altro e più impegnativo termine, potrei chiamare i processi mentali coscienti.

Ecco, più o meno, dove volevo arrivare: se accettiamo l’analogia della nostra mente con un buco nero, potremo dire che essa inghiotte tutto ciò che percepiamo, elaborandolo e immagazzinandolo in una forma inaccessibile dall’esterno, e che all’orizzonte di questo buco nero corrispondono le funzioni mentali coscienti su cui è "impressa" una rappresentazione non isomorfa del contenuto del buco nero, la cui dinamica interna è ignota ma si manifesta attraverso la nostra mente cosciente.

E con questo, mi sono forse avviato anch’io sulla strada di chi pubblica su Internet "fondamentali intuizioni incomprensibilmente ignorate dalla comunità scientifica"…

5 pensieri su “Ma dove siamo andati a parare?

  1.  embè, io è un pezzo che lo dico, ma senza buchi neri. in sintesi ci sono processi mentali che funzionano diciamo così attraverso un analogo della "scheda grafica" di un pc, e processi che funzionano senza verbalizzazione o mediazione visiva immaginativa. tra parentesi è per questo che la meditazione funziona, che la notte porta consiglio ecc ecc. I secondi sono più veloci e lavorano contemporaneamente su molti piani. Poi ci sono altre cose che ritengo interessanti, circa le decisioni razionali e quelle irrazionali, ci ho pensato tanto, sai? ma sono pigra al momento di scriverle. Ma solo tu ci potevi mettere insieme il principio olografico tirandolo fuori dal calcolo dell’entropia dei buchi neri!!!
    In realtà non credo che sia possibile rilevare "olograficamente" il contenuto profondo da quello superficiale, per via che, secondo me, se ciò fosse possibile il funzionamento dei processi profondi sarebbe compromesso e la loro finalità vanificata. è lungo da spiegare in un commento.

  2. Eh, pero` non si fa cosi`!
    Un torrente di appetitose affermazioni e anche un invito quasi esplicito (a cui verrebbe tanta voglia di applicarsi, con considerazioni trans-dimensionali come la curva di Peano…).
    Tutto cio` mentre il povero operaio matematico che ti segue e` sommerso da un lavoro degno di Sisifo.
    Ottonieri, ci sono tanti racconti da scrivere: gialli , verdi, a me piace il viola…
    Due settimane, due piccole settimane e salgo sul ring. Sei stato ibernato fino ad ora!

  3. @Capsicum: premesso che un’analogia è inevitabilmente approssimativa, tieni presente che:
    a) la struttura dei processi profondi, anche nell’analogia, è inaccessibile e sconosciuta. Qui stiamo parlando di contenuti in termini di informazione, astraendo dal "cablaggio" e dalle caratteristiche dei processi cerebrali profondi che non hanno un corrispettivo in termini di informazione "fruibile" cognitivamente.
    b) quello che "emergerebbe" sulla superficie non è il contenuto effettivo dei processi profondi, ma una sua rappresentazione. Questa corrispondenza è _non invertibile_, quindi il buco nero resta nero…

    @MaxFerri: non c’è mica fretta! Io ci tenevo a completare (o almeno a portare abbastanza avanti) questo filone in questi giorni in cui sono in ferie. Tu, se vuoi dare un contributo certamente graditissimo, hai tutto il tempo che vuoi; fammi sapere se vuoi scrivere un "guest post", saresti ovviamente il benvenuto.

  4.  ora mi rileggo tutto. ma prima devo lavorare un po’ anch’io. effettivamente detta così è compatibile con le mie ipotesi sui programmi strutturali interni. te ne parlerò. un bacio anche a max e in bocca al lupo per il suo lavoro da sisifo.

  5. Caro Ottonieri, prima di tutto scusa il ritardo con cui aderisco all’invito che mi hai rivolto così cortesemente, nonostante la rudezza con cui mi è capitato di esprimermi.
    Mi concentro solo su un punto, quello su cui posso aver qualcosa da dire, anche se gli argomenti che mi interessano di più, nei tuoi post, sono quelli, che non mi azzardo nemmeno a sfiorare, di estensione al cervello.
     
    Poni un problema: si può avere isomorfismo anche se c’è un’evidente riduzione di dimensione? La risoposta matematica è “sì”, anche se molto probabilmente è una risposta inutile per il fisico. In realtà sono sicuro che tu abbia già visto da qualche parte l’argomento per cui si può dare una risposta positiva: sto pensando ad oggetti come la curva di Peano, che riempie un quadrato con l’immagine continua di un segmento; o più semplicemente penso al procedimento diagonale di Cantor o a una delle sue tante varianti. Scusa se ne espongo una per i tuoi altri (?) lettori 🙂
     
    Ora metterò in corrispondenza biunivoca i punti di un quadrato Q con quelli si un segmento C. Q sia formato dalle coppie (x,y) di numeri reali compresi fra 0 e 0,[9] (=1; intendo 9 periodico). S sia formato semplicemente dai numeri fra 0 e 0,[9]. L’applicazione f:Q->S prende un punto (x,y), dove x=0, a_1 a_2 a_3 … e y=0, b_1 b_2 b_3 … e gli associa il numero (cioè punto di S) 0, a_1 b_1 a_2 b_2 …
     
    L’applicazione è biunivoca e “schiaccia” una dimensione.
     
    In realtà quella che mi interessa è un’estensione di quest’applicazione a tutto il piano R^2 da una parte e a tutta la retta R dall’altra; procede più o meno nello stesso modo, con qualche complicazione dovuta ai segni. Ora la domanda è: si tratta di un isomorfismo?
     
    Circoscriviamo tutto alla sola struttura di gruppo. In R^2 c’e` una somma: (a,b)+(c,d) è definita semplicemente come (a+c,b+d).
     
    “Isomorfismo” significherebbe che, comunque prendiamo (a,b) e (c,d), valesse l’uguaglianza f((a,b)+(c,d)) = f((a,b))+f((c,d)).
     
    Bene, il matematico non si spaventa di nulla. Appena c’è un’applicazione biunivoca, sa che può creare sul codominio (R, in questo caso) un’operazione fatta su misura per dar luogo ad un isomorfismo. Quindi posso tranquillamente _definire_ una nuova somma (indichiamola con un nuovo simbolo, per esempio #) di numeri reali u e v. In questo modo: prendo la coppia (a,b) per cui f((a,b))=u, la coppia (c,d) per cui f((c,d))=v, sommo normalmente le due coppie e poi _definisco_ il risultato u#v come f((a+c,b+d)). Automaticamente (tautologicamente) f è un isomorfismo.
     
    Il matematico è felice, il fisico vomita. Perché? Ma perché la nuova somma # non ha (quasi) niente a che fare con la vecchia, cara, utile, NATURALE somma +.
     
    Riassumendo: anche se la dimensione cala, lo spazio per ritrovarci la stessa struttura (o meglio una struttura isomorfa) presente nella dimensione più grande c’è. Però non è la struttura naturalmente (fisicamente?) presente in quella dimensione inferiore.
     

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